Gianluca Marcato + Elena Preziosa

Una vita ebraica a Firenze



Umberto ricorda con gli occhi chiusi. Le mani intrecciate sopra le ginocchia quasi a voler fermare il leggero tremolio della gamba, le palpebre che sbattono impercettibilmente a seguire il ritmo della storia, la storia della comunità ebraica di Firenze. Se non fosse per il campanello o il telefono della segreteria del centro culturale ebraico di via Farini, il suo racconto sarebbe un fiume in piena: dati, fatti e persone scorrono ininterrotti dalle sua labbra incorniciate da sottili baffetti grigi anni ’30.

Umberto di Gioacchino è sempre stato membro attivo della comunità ebraica fiorentina che oggi purtroppo vive solo all’interno di piccoli capisaldi distribuiti fra via Farini e via dei Pilastri: un ristorante kosher, un’alimentari e un’agenzia di viaggi. A differenza di altre città italiane la comunità fiorentina si è dispersa molto prima all’interno del tessuto urbano, quando Firenze, nuova capitale del giovane stato italiano, quasi pudica della sua essenza medioevale, abbatté interi quartieri per creare piazze che non fossero da meno al cospetto delle maestà piemontesi e a confronto delle sorelle italiane. È difficile immaginare che Piazza delle Repubblica, uno dei luoghi oggi più conosciuti ed eleganti della città, fosse anticamente il ghetto ebraico, chiuso da mura e popolato di alti edifici e strette stradine in cui pochi si avventuravano per paura di non uscirne. Oggi di questo nucleo, che una volta comprendeva diversi luoghi di culto, “schole” e palazzi nobiliari, non rimangono che due sinagoghe inutilizzate in via delle Oche. Già da metà del XIX secolo la comunità ebraica si sparse per la città andando a occupare soprattutto l’area attorno a Piazza D’Azeglio, Sant’Ambrogio e Santa Croce. È in quella zone che viene donato un terreno per costruire nel 1874 la nuova Sinagoga che a tempo di record svetterà con la sua cupola sopra i tetti di Firenze in meno di otto anni, quasi a voler rivaleggiare con quella del Brunelleschi.

Dal racconto di Umberto sembra che gli anni a cavallo fra i due secoli siano stati il periodo in cui la comunità ebraica abbia conosciuto il suo massimo splendore, con lo sforzo dei suoi membri più illustri che animavano la vita economica e culturale della città. Professori, medici, banchieri e imprenditori ebrei erano allora parte integrante e importante del tessuto sociale fiorentino, tanto da annoverare alla fine del primo conflitto mondiale diversi caduti e eroi decorati. Fino al 1938 furono diversi gli ebrei che aderirono entusiasti al partito fascista, come testimoniano le tessere del fascio che è possibile trovare all’interno del museo della sinagoga. Con la promulgazione delle leggi razziali e la sempre maggiore emarginazione della comunità ebraica si chiude quella stagione fantastica che aveva visto Firenze arricchirsi di un multiculturalismo che non ritroverà prima di molti anni. Umberto nasce in quegli anni in una famiglia ortodossa in cui lo zio rabbino è un’importante membro della sinagoga e sin dal suo atto di nascita viene marchiato di rosso come appartenente alla razza giudaica. Sono anni terribili per Firenze e il paese intero che prova a salvare gli ebrei nascondendoli in conventi e campagne. Chi poteva contare su veri amici e non cadere vittima di soffiate o voltagabbana è sopravvissuto al meticoloso e frenetico rastrellamento da parte delle squadre fasciste. La famiglia di Umberto poté contare inizialmente su una rete di amicizie cattoliche che gli permise di nascondersi spostandosi periodicamente di casa in casa, affidandolo all’età di due anni alle suore di Santa Marta che accoglievano tutti i bambini bisognosi di rifugio fino ai dodici anni. Tornati a riprenderlo un anno più tardi, la famiglia riunita rientrò nella Firenze liberata solo nell’ottobre del ’44, quando la città fu ripulita anche dagli ultimi cecchini di via Martelli.

Ciò che rimaneva della comunità si strinse intorno alla brigata ebraica che veniva dalla Palestina per portare acqua e soccorso ai superstiti, ma che finì per essere qualcosa di più di un semplice aiuto umanitario. Molti di quei volontari rischiarono molto riempiendo interi camion militari di ragazzi e bambini solamente per portarli in giornata a Viareggio a vedere il mare. Umberto aveva solo 4 anni quando scese dal grande camion e toccò scalzo la sabbia calda del litorale. Se lo ricorda ancora come se fosse ieri e quando lo racconta ti fissa in volto perché da quel momento in avanti la comunità ebraica di Firenze non fu più la stessa. Furono tanti quelli che seguirono quei soldati in terra di Palestina per andare a formare il giovane stato d’Israele, fondando interi kibbutz italiani, alcuni per poi ritornare, altri per rimanere per sempre. La maggior parte invece decise di andarsene da Firenze, per non tornare a calcare le strade che negli ultimi anni li avevano visti diventare stranieri nella propria terra. A margine del muro esterno della Sinagoga una lapida ricorda i nomi di coloro che sono scomparsi e coloro che sono partiti per Israele. Oggi quei nomi, insieme all’asilo, al centro culturale, la biblioteca e il museo non sono una mera finestra sulla storia e sulla dolorosa memoria di una comunità, ma servono a ricordare il passato di un popolo che costruisce su di esso il proprio futuro.

Gianluca Marcato + Elena Preziosa

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In collaborazione con Life Beyond Tourism® Photoblog